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Ripartizioni spese condominiali

In riferimento alla ripartizione delle spese condominiali  oggi proponiamo questo articolo.

Il criterio legale di ripartizione delle spese afferenti i beni comuni è suscettibile di modifica, a determinate condizioni, e può giungere fino alla completa esenzione dalla contribuzione alle spese in favore di taluno dei condòmini.
Il principio, ribadito da ultimo dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14697, del 14 luglio 2015, riafferma un concetto già espresso dalla medesima Corte in precedenza.
Ed invero: “La disciplina sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, ex artt. 1123-1125 c.c., è suscettibile di deroga con atto negoziale. È, dunque, legittima una convenzione che ripartisca siffatte spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, potendosi addirittura stabilire l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. In quest’ultima ipotesi, ossia di esenzione totale dall’onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese, incluse quelle di conservazione, in ordine ad una determinata cosa comune, ad esempio l’ascensore, si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella determinata parte dell’edificio. Ne deriva che, in assenza di una tale previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condomini alle decisioni concernenti detto bene” (Cass. civ., 14.07.2015, n. 15697. In precedenza: Cass. civ., 25.03.2004, n. 5975).
Il principio in ambedue i casi sottoposti al vaglio della Suprema Corte, è stato espresso con riferimento alle spese relative alla conservazione della cosa comune, in particolare, dell’ascensore, per il quale, ai sensi dell’art. 1124 c.c., la spesa relativa alla manutenzione e sostituzione deve essere ripartita tra i condòmini, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.
Ciò posto, l’intervento in assemblea è consentito ai soli condòmini che usufruiscono dell’impianto, tuttavia, allorquando si verta in materia di “conservazione” della cosa comune, legittimati ad intervenire risultano tutti i condòmini.
Ciò sulla scorta del principio per cui la proprietà dell’ascensore è comune a tutti i condòmini, ex art. 1117 c.c., salvo titolo diverso, e che il regime di ripartizione delle spese, delineato dall’art. 1124 c.c., non incide sul diritto di comproprietà in capo ad ogni singolo condomino.
Tuttavia, afferma la Corte, il criterio legale di ripartizione delle spese, è suscettibile di modificazione, anche ad opera del regolamento contrattuale, nel qual caso, viene superata la presunzione di condominialità, per i condòmini esentati, su quella parte di fabbricato.
Tale criterio, oltre che dal regolamento contrattuale, risulta modificabile anche con l’accordo di tutti i partecipanti al condominio, ed attiene alle diverse fattispecie di beni comuni.
Ed invero, a mente dell’ultimo capoverso, comma 1, art. 1123 c.c., il criterio proporzionale, può essere derogato da specifica convenzione.
I condòmini, infatti, nella loro autonomia contrattuale, possono legittimamente approntare criteri differenti rispetto a quelli previsti dal legislatore.
In tal caso, però, è necessario l’accordo unanime di tutti i partecipanti all’assemblea.
Non siamo, pertanto, al cospetto di una deroga demandata alla maggioranza dei condomini, bensì solo alla totalità degli stessi, il che vuol dire che basta il dissenso di un solo condomino per rendere impraticabile la strada convenzionale.
La delibera che eventualmente modificasse i criteri legali di ripartizione delle spese, non adottata con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio, risulterebbe manifestamente nulla.
A tal proposito, infatti, è noto il principio per cui: “In tema di condominio, sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche da parte del condomino che le abbia votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 cod. civ. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini …” (Cass. civ., 19.03.2010, n. 6714. In precedenza: Cass. civ., 27.07.2006, n. 17101).
La conseguenza della delibera nulla, quale risulta essere indubbiamente quella che modifica i criteri legali di ripartizione delle spese, in assenza del consenso unanime di tutti i condomini, è l’inefficacia nei confronti del condomino assente o dissenziente, per nullità radicale deducibile senza limiti di tempo.
Fonte http://www.condominioweb.com/quando-il-condomino-puo-esimersi-dal-partecipare-alle-spese.11996#ixzz3pucRFTA4
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Ripartizioni spese condominiali
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Spese condominiali: che confusione!

Le norme sul condominio negli edifici non classificano con precisione le spese per le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune dell’edificio e non adoperano neppure una terminologia uniforme.
Così diceva la Cassazione nella sentenza n. 8292 depositata in cancelleria all’inizio di questo secolo, ossia il 16 giugno 2000.
Se poi si pensa che spesso si fa riferimento indirettamente alle spese, ossia guardando alla tipologia d’intervento, la situazione si complica ancor di più. A ciò si aggiunga che certe spese non sono nemmeno indicate con precisione: su tutte si pensi al compenso dell’amministratore condominiale.
A quali spese, esattamente, fa riferimento il codice civile?
L’art. 1123 c.c. fa menzione delle spese per:
a) la conservazione delle cose comuni;
b) per il godimento delle parti comuni dell’edificio;
c) per la prestazione dei servizi nell’interesse comune;
e) per le innovazioni
f) per la manutenzione.
Il compenso dell’amministratore è annoverabile tra i servizi resi nell’interesse comune. E la spesa per la tinteggiatura dell’atrio d’ingresso? È una spesa di conservazione o una spesa connessa con il godimento o con il deterioramento legato all’uso?
Riguardo alla tipologia di spese, nella sentenza n. 8292 si fece un’acuta differenziazione tra spese legate alla conservazione del valore capitale del bene (ossia delle parti comuni) e spese connesse con la loro utilizzazione.
Si legge in questa sentenza che “la differenza tra il valore capitale di un bene ed il costo del suo uso è evidente. La funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione del valore capitale, vale a dire per la tutela o per il ripristino della sua integrità, sono diversi rispetto alla funzione ed al fondamento delle spese necessarie per il godimento”.
In questo contesto è evidente che i termini manutenzione e conservazione siano utilizzati alla stregua di sinonimi e che i costi di uso sono quelli strettamente connessi alla erogazione di servizi (costo energia elettrica per l’illuminazione delle scale) o per il godimento di determinati beni (ed. acqua per la piscina condominiale).
Ci sono poi alcune spese di difficile inquadramento: ad esempio, restando al caso risolto dalla sentenza n. 8292, le spese per le tasse dovute in relazione alla griglia metallica posta sul suolo pubblico a copertura dell’intercapedine sulla quale ai affacciavano i box auto? Qual è la natura di questo costo?
Al riguardo la Cassazione non ha fornito una risposta definitiva, la decisione in esame era una così detta sentenza di rinvio, ossia rimandava ai giudici di appello la risoluzione della questione, ma si è limitata a specificare che “se le griglie servono per arieggiare l’intercapedine, le spese sembrano riguardare genericamente la conservazione di tutto ciò che l’intercapedine contiene, e non l’uso di essa” (Cass. 16 giugno 2000 n. 8292).
In buona sostanza condurre nell’alveo della conservazione o dell’uso le spese necessarie alla manutenzione ed al godimento delle cose comuni non sempre è agevole, probabilmente la riforma del condominio avrebbe dovuto intervenire in maniera più incisiva sull’argomento.
Fonte http://www.condominioweb.com/spese-condominio.12025#ixzz3pubbG0vO
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Ripartizione delle spese di balconi aggettanti.

Come si ripartiscono le spese relative ai balconi aggettanti? E le spese di restauro di un terrazzo parzialmente aggettante? E se il terrazzo copre un solo piano?

Sulla natura dei balconi e sulla imputabilità delle relative spese.

Secondo un indirizzo giurisprudenziale oggi prevalente, il balcone aggettante viene ritenuto accessorio dell’appartamento, con esclusione di ogni natura condominiale se non nel caso in cui il balcone o suoi singoli componenti costituiscano motivo ornamentale di particolare rilievo sul prospetto architettonico dell’edificio.
A parte quest’unica eccezione il balcone viene quindi considerato come una parte dell’appartamento cui offre utilità esclusiva.
I frontalini dei balconi aggettanti sono dunque da ritenersi, per indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, di esclusiva proprietà del titolare del balcone medesimo. Analogo discorso deve farsi per i parapetti e il sottobalcone.
Si forniscono di seguito i riferimenti giurisprudenziali circa l’indirizzo enunciato: Cass.8159/1996; Cass.637/2000; Cass.1784/2007; Cass.15713/2007.
Tra le pronunce in argomento si segnala la seguente: “I balconi aggettanti di un edificio in condominio, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa: solo i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si devono considerare beni comuni a tutti i condòmini quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Quanto ai rapporti tra il proprietario del singolo balcone e il proprietario di analogo manufatto, posto al piano sottostante sulla stessa verticale, deve escludersi una presunzione di proprietà comune del balcone stesso. Ancorchè, infatti, in una tale evenienza possa riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura, rispetto al balcone sottostante, trattasi di copertura disgiunta dalla funzione di sostegno e, quindi, non indispensabile per l’esistenza stessa dei piani sovrapposti, per cui non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili (Come si verifica, invece, se i balconi stessi siano incassati nel corpo dell’edificio, atteso che in quest’ultima eventualità i vari balconi sovrastanti svolgono contemporaneamente funzione sia di separazione sia di copertura sia di sostegno) ” (Cass.II sent.30-7-2004 n.14576)
La spesa per il restauro del balcone aggettante, del frontalino, del parapetto e del sottobalcone deve quindi addebitarsi esclusivamente al proprietario del balcone.
Nella fattispecie dedotta in quesito deve ritenersi che i balconi aggettanti non svolgano alcuna particolare funzione decorativa o estetica, con la conseguenza che le spese afferenti riguardano solo i rispettivi proprietari e che coloro che non hanno balconi ne sono esclusi.

Sul restauro del terrazzo in aggetto parziale.

Il corretto criterio di ripartizione della spesa di rifacimento del terrazzo esclusivo parzialmente aggettante prevede che, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai acquisito, siano addebitate al solo utilizzatore esclusivo le spese afferenti la parte in aggetto, mentre la restante parte avente funzione di copertura delle unità immobiliari sottostanti viene ripartita ai sensi dell’art.1126 cod.civ.
Secondo la giurisprudenza la parte aggettante di una terrazza di piano attico rappresenta infatti esclusivamente un ampliamento della superficie utile della terrazza la cui spesa di manutenzione va ripartita in base all’art. 1126 cod. civ. considerando tale superficie come quella di un balcone (Trib. Catania 20 marzo 1986, n. 410). Le spese di riparazione della parte in aggetto della terrazza di proprietà esclusiva di uno dei condomini gravano soltanto su questo ultimo (App. L’Aquila 14 febbraio 1992).
La spesa per le copertine del parapetto compete al proprietario del terrazzo medesimo in quanto esse costituiscono accessorio del parapetto
Con riferimento alla porzione di spesa da ripartire in funzione del criterio di cui all’art.1126 cod.civ., va quindi escluso il criterio di ripartizione in base ad una proporzione metrica della copertura.
In sostanza non si può limitare la partecipazione millesimale alla spesa in proporzione alla sola area coperta dal lastrico da restaurare.
Ne consegue che, ove il lastrico solare copra una porzione limitata di un appartamento sottostante, questo partecipi integralmente secondo la propria quota millesimale.
La giurisprudenza afferma che l’art.1126 cod.civ., nel chiamare a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare, nella misura di due terzi, “tutti i condòmini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve”, si riferisce a coloro ai quali appartengono le porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso finge da copertura, con esclusione dei condòmini alle cui porzioni il lastrico stesso non sia sovrapposto (Cass.4-6-2001 n.7472).
“E’ sufficiente quindi che si trovi sotto il lastrico solare anche una sola parte di una unità immobiliare, perché la proprietà di detta unità concorra alla ripartizione delle spese pari ai due terzi dell’intero, restando a carico della proprietà del lastrico il restante un terzo. Quando l’ art. 1126 c.c. fa riferimento alla “porzione di piano” non intende avere riguardo alla “porzione” della proprietà, per ragguagliarvi la ripartizione dei restanti due terzi delle spese, ma alla porzione come unità: l’unica esclusione da detta ripartizione attiene a quelle unità che in alcun modo siano “coperte” dal lastrico.” (Cass.27-11-2001 n.3343).
Si ritiene quindi di gran lunga preferibile il criterio dell’attribuzione delle spese di rifacimento nella misura stabilita dall’art.1126 cod.civ. senza alcun computo di proporzionalità dell’area coperta.
Sul restauro della terrazza a copertura di un solo piano sottostante.
Secondo un orientamento recente, la fattispecie sembra poter essere disciplinata con il criterio di ripartizione di cui all’art.1125 cod.civ., che prevede la ripartizione della spesa in parti uguali fra i proprietari dei due diversi piani.
Nel caso che ci occupa, infatti, il solaio di copertura dei locali interrati funge da sostegno al terrazzo (Cass.14-9-2005 n.18194, con un precedente in Cass.18-3-1989 n.1362 e altre).
Si riporta in massima la recente sentenza, che ha innovato l’orientamento precedente:
“In materia di condominio, qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all’edificio condominiale che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condòmino, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall’art.1126 cod.civ. (presupponendosi l’equiparazione del bene fuori dalla proiezione dell’immobile condominiale, ma al servizio di questo, a una terrazza a livello), dovendosi invece procedere ad una applicazione analogica dell’art.1125 cod.civ. il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore a chi con l’uso esclusivo della stessa determina la necessità dell’inerente manutenzione, in tal senso verificando un’applicazione particolare del principio generale dettato dall’art.1123 co.2 cod.civ.”.
L’indirizzo esposto non è però univoco, essendo intervenute altre pronunce successivamente che si sono riportate al criterio dell’art.1126 cod.civ.
Recentissima è un’altra pronuncia della fine del 2008 che sembra ritornare invece all’indirizzo interpretativo che privilegia l’applicazione dell’art.1125 cod.civ. (divisione in parti uguali fra i proprietari dei due diversi piani).

Ufficio legale Anaci Roma
Avv. Carlo Patti